Khristian Angelillo: paesaggi dell’inconscio
- Fabio Rocca
- 27 giu
- Tempo di lettura: 1 min

C’è un silenzio irreale nei mondi di Khristian Angelillo. Un silenzio che parla. Che sussurra all’osservatore storie mai udite, sogni dimenticati, paure taciute. I suoi dipinti sono visioni sospese, scene di un teatro interiore in cui nulla è lasciato al caso, ma tutto si muove secondo una logica che sfugge alla veglia.
Nato a Taranto nel 2004, Angelillo si accosta all’arte con istinto puro e un’innata necessità di esprimere ciò che sfugge al linguaggio ordinario. Dopo un primo percorso da autodidatta, approfondisce la tecnica pittorica sotto la guida del maestro Alfredo Papa. La pittura a olio diventa il suo strumento di elezione, mezzo privilegiato per scandagliare le profondità dell’inconscio.

La sua formazione si arricchisce grazie all’incontro con Alfredo Papa, che gli trasmette i fondamenti del disegno, della pittura e della teoria del colore. Ma è nel suo percorso personale che Angelillo sviluppa una poetica ben riconoscibile: influenzato dai grandi del surrealismo come de Chirico, Magritte e Dalí, e affascinato dai mondi visionari di Beksinski e Sicioldr, costruisce un linguaggio pittorico che si nutre di simbolismo, solitudine e inganno.
Ogni sua tela è una soglia da attraversare, una scena apparentemente statica che cela un movimento interno, una verità sfuggente. Le sue figure sono “senzienti”, consapevoli della propria condizione eppure immobili, come cristallizzate in un istante eterno. Il titolo stesso delle opere gioca con lo spettatore, a volte guida, a volte confonde, generando un cortocircuito tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo.

Angelillo non dipinge concetti astratti, ma immagini che risuonano nell’inconscio: “Il mio obiettivo è l’immedesimazione e la contemplazione individuale, nulla di concettuale sparso nell’aria. Solo l’inconscio libero dalla razionalità umana.”
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