Il segno che cura: l’universo mandalico di Silvia Dal Pane
- Fabio Rocca

- 2 giorni fa
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Silvia Dal Pane costruisce il proprio percorso artistico a partire da un’urgenza primaria: il disegno come linguaggio originario, rifugio e spazio di autodeterminazione. Fin dall’infanzia, il segno si impone come necessità vitale, spesso fraintesa o giudicata “non convenzionale”. Quelle critiche precoci, anziché limitare la sua espressione, diventano il primo motore della ricerca: il disegno si fa riscatto, e la libertà espressiva un territorio inviolabile.

La sua formazione attraversa gli anni del Liceo Artistico e approda quasi per caso ai mandala, durante una Vigilia di Natale del 2014. Quell’esperimento apparentemente occasionale rivela un linguaggio che sembrava attenderla da sempre. Le strutture radiali, la ripetizione minuziosa del segno, la necessità di saturare ogni spazio diventano progressivamente non solo una cifra stilistica, ma uno strumento emotivo e psicologico, capace di contenere e organizzare l’esperienza interiore.
Nel 2018, un profondo crollo emotivo conduce alla diagnosi di Disturbo Ossessivo Compulsivo. In questo momento di frattura, i mandala assumono un ruolo essenziale: non più semplici composizioni ornamentali, ma una vera e propria pratica terapeutica. Il gesto ripetuto, la concentrazione prolungata, il ritmo del segno diventano strumenti per placare l’ansia, ordinare i pensieri e restituire equilibrio a una mente instancabile. La psicologa che la segue riconosce la forza del suo linguaggio e le commissiona la prima opera: un passaggio fondamentale che apre alla consapevolezza del valore comunicativo della sua arte e alla volontà di rendere visibile la complessità del disturbo mentale, troppo spesso banalizzato o frainteso.

Nel corso degli anni, la sua produzione conosce fasi di interruzione e rinascita. Durante il periodo universitario, l’artista ritorna temporaneamente all’iperrealismo a olio; successivamente, l’alluvione di Faenza del 2023 segna un nuovo arresto, portando a un distacco totale dalla pittura. È proprio da questa frattura che i mandala riemergono con forza, come unico linguaggio possibile, inevitabile, capace di restituire un senso di equilibrio e continuità.
Tra il 2024 e il 2025, la ricerca di nuovi spazi e nuove possibilità conduce Silvia Dal Pane a Firenze, grazie all’incontro quasi fortuito con l’architetta Lara di Akropolis. È qui che l’artista sceglie di dare finalmente corpo a una promessa fatta anni prima a se stessa: trasformare la propria storia in un’esperienza artistica condivisa.
Nei suoi lavori, l’ossessione non è mai chiusura, ma energia generativa. Le superfici si popolano di una trama densissima di segni, colori e arabeschi che raccontano il bisogno di colmare il vuoto, di riportare quiete all’interno di un flusso mentale incessante. Ogni mandala diventa così un dispositivo di cura, una mappa emotiva, un equilibrio fragile e necessario tra caos e armonia.

Avvicinarsi alle opere di Silvia Dal Pane significa andare oltre l’estetica del dettaglio e della perfezione formale. Significa entrare nel gesto che placa, nella concentrazione che salva, nella bellezza come possibile varco verso un ordine interiore. Per l’artista, il disegno non è mai soltanto immagine: è memoria, terapia, resistenza, e soprattutto un ponte tra ciò che ferisce e ciò che prende forma.




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